E oggi? In queste settimane di caos, con il Parlamento trasformato in un incrocio tra la suburra e l'isola dei famosi, si celebra proprio il tramonto di colui che nell'immaginario collettivo ha incarnato una certa idea di leader forte della politica, il messia antennuto e dalle singolari abitudini notturne che si dice guidato dall'amore (secondo un'autodefinizione indulgente e molto meno ingenua di quanto non si voglia far credere). Silvio Berlusconi è agli sgoccioli della sua carriera di condottiero, dicono gli osservatori con lo sguardo fisso all'orizzonte: previsione rischiosissima, visto che l'uomo ha la dote di uscire da sepolcri a lui destinati con l'aria del visitatore occasionale.
Quel che è certo è invece un altro punto di analisi: dovrebbe essere accantonata la speranza nel leader risolutore, nell'uomo solo al comando che in base alla sue trascendenti qualità nascoste riuscirà a trarre miracolosamente la nazione fuori dalle sabbie mobili nelle quale puntualmente dalla sua nascita sembra essersi cacciata. Anzi, mai come oggi, riprendendo l'allegoria dantesca, il veltro e la lupa sembrano essersi messi d'accordo per generare un ibrido nocivo ad egli stesso e alla comunità.
Così sia; il crepuscolo del berlusconismo, tornando a bomba, svela tra le sue ombre i contorni di una verità sempre più salda: l'idea di un leader forte è superata.
A spiegare bene il perchè da una prospettiva della società dell'informazione è il libro del sociologo Joshua Meyrowitz che si intitola "Oltre il senso del luogo". Meyrowitz collega l'idea di autorità al controllo delle informazioni, sostenendo che la sempre maggiore pervasività dei media erode il fondamento del rapporto tra superiore e inferiore. Entrando sempre più nel retroscena, svelando le debolezze e gli scivoloni, le umane miserie e le imperterrite aberrazioni del leader, la comunicazione riequilibra il potere a favore del sottoposto. E in effetti la tv, terreno militarizzato dal berlusconismo imperante, ha contribuito, grazie ai pochi interstizi di libertà rimasti, di mostrare un premier gaffeur e invecchiato, poco ilare e crudele. E su internet è ovviamente anche peggio. Con il tramonto della centralità televisiva, tramonta anche il pilastro centrale della macchina del consenso del premier. E' un percorso lento ma inevitabile.
Rimodellando gli spazi sociali, facendo crollare muri informativi una volta alti e spessi come i millenni in cui erano stati creati, i media creano i presupposti per un indebolimento dei rapporti di potere tradizionali in ogni ambito sociale: nella politica così come nella famiglia (la crisi del ruolo maschile nei nuclei basati su relazioni parentali) e nel rapporto tra generi (il lento riequilibrio tra uomo e donna). Berlusconi si trova oggi in balia delle informazioni che circolano: l'avvisaglia che anche per lui si avvia una fase di leadership debole.
Non è detto, però, che ciò sia un procedimento "buono" e "positivo": basti pensare agli studi di scuola americana sul rapporto tra giornalismo di advocacy (quello che fa le pulci al potere) e la sfiducia sempre più ampia nell'elettorato verso le istituzioni. Fenomeni complessi, quelli che stiamo vivendo, i cui esiti potrebbero essere anche infausti; e i segnali di una preoccupante crisi delle democrazie ci sono tutti. Serve un'iniezione di valori per rinvigorire un sistema politico fiaccato, che paradossalmente perde credibilità proprio attraverso le inchieste da tutti applaudite come inevitabili e necessarie. Se non indurranno ad un maggiore senso di responsabilità nella sfera politica, le "inchieste" porteranno solo a favorire gli interessi particolari di chi vede male ogni centro di mediazione orientato al bene comune.
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